24 Aprile 2024
Racconti

Ritorno a casa

Erano i primi giorni di settembre. Ma la morsa di caldo dell’estate più lunga che avesse mai vissuto, non dava ancora segni di cedimento. Lo sguardo perso nel buio oltre il finestrino stentava a separare riflessi lontani dal susseguirsi monotono di luci striscianti. La testa vuota faceva cassa di risonanza al sordo sferragliare del treno. La pelle umida delle braccia si appiccicava alle mani sudate e l’acre odore ferroviario gli penetrava l’anima. L’afa gli rendeva difficile il respiro.

La fatica del viaggio

Stava tornando a casa. È strano come, a volte, una stessa tratta di viaggio possa apparire più o meno lunga a seconda della direzione che si percorre. Quando si fugge da qualcosa il tempo è più leggero, vola veloce e si è subito lontani, distanti, salvi…

Tornare da qualcuno, invece, può esser faticoso come salire una china, il tempo non passa mai, la vita trova difficile il proprio scorrere. Lui, quella sera, nello scompartimento di seconda d’un interregionale fumoso e senza aria condizionata, non riusciva ancora a capire da che parte stesse girando il tempo.

Le luci dei lampioni disegnavano tracce giallognole come sputi sul finestrino e tra i riflessi d’un mondo irreale apparivano i fantasmi d’un’intera esistenza. Stava tornando a casa, anche se il significato di questo termine aveva perso i suoi solidi contorni, il richiamo ad una inequivocabile sostanza, la certezza di un approdo sicuro.

L’ultima cavalcata

Ne era quasi scappato qualche giorno prima che pareva un’eternità. Doveva portare la sua vecchia Guzzi ad un cliente di Firenze, scovato su internet. L’occasione per un’ultima “cavalcata”, prima di “morire”!

Non poteva mentire a se stesso: gli dispiaceva disfarsene, ma ormai non era più un giovanotto ed i dolori cominciavano a farsi sentire e, soprattutto, lei non ci veniva più volentieri. Le si informicolavano le gambe, le mancava l’aria, non riusciva più a respirare contro vento: in realtà, da qualche tempo, trovava sgradevole il gusto stesso della vita.

A lui era sempre piaciuto andare contro vento fino a farsi lacrimare gli occhi, sentire le vibrazioni del motore sotto il culo e scuotergli l’anima, annusare i profumi intensi dell’aria, penetrarla, farne parte in un fremito infinito di libertà. Seguire le curve della strada come una danza, ritmando l’incedere del mezzo con il corpo sul serbatoio stretto tra le gambe.

Luce spenta

Ma ora, stava tornando a casa. Le lacrime negli occhi sfumavano i contorni delle luci lungo la ferrovia. Globi luminosi accendevano immagini nel buio.

La “casa” non era più il suo sorriso. La “casa” era lo sguardo di lei spento, perduto nel baratro, impaurito. La “casa” non era più il suo abbraccio più caldo, ma il trascinarsi tremante delle sue stanche membra.

E tra i riflessi specchiati sul finestrino si sovrapponevano immagini di sogno. D’una vita che era stata felice. Di due ragazzi cresciuti troppo in fretta, innamorati senza saper nulla dell’amore; in cerca d’avventura senza conoscere il prezzo della vita. Il suo sorriso più fresco. Quel corpicino morbido e sinuoso. Due occhi vivi di cerbiatta… e una gran voglia di morire.

Un compagno di viaggio

Vedeva crescere i suoi figli tra le ombre lunghe di una notte senza fine, quando all’improvviso entrò nello scompartimento quel viaggiatore sconosciuto: “Mi scusi – lo svegliò da quel torpore malato e sudaticcio – non sono affari miei, ma se posso fare qualcosa per lei… mi dica.

Gli ci volle qualche istante per inquadrarlo e per tornare alla realtà del mondo. Tirò su col naso e si asciugò gli occhi con un gesto quasi furtivo del polso. Gli apparve un giovane pulito con una lanugine incolta ad incorniciare un volto limpido, sorridente. “Magari – provò a dire, dopo aver cercato di dare un nome a quel sentimento – ci vorrebbe un miracolo. Tu sai fare miracoli? Sei un mago? O forse un angelo… –  distolse lo sguardo da quel suo occasionale compagno di viaggio e tornò a scrutare misteriosi segnali tra i riflessi del vetro – La mia compagna è malata. Il male oscuro lo chiamano. Non ha più voglia di vivere e io non so più cosa fare.”

Scese un silenzio irreale in cui lo sferragliare del treno s’ingigantiva in un’eco sorda e profonda come se il mondo intero volesse franare in quello scompartimento lanciato verso l’ignoto.

La misura dell’amore

La sorgente inesauribile delle lacrime tornò copiosamente a solcargli il volto. L’angoscia gli prese lo stomaco tra due mani e lo strizzò come si torce un panno lavato. Fuori, niente di nuovo: il buio inghiottiva quell’ultimo viaggio.

Mi permetta – riprese dopo un secolo il giovanotto – ma se l’uomo ha dato un nome ai miracoli può darsi che esistano davvero – la sua saggia citazione non provocò alcuna reazione, forse aveva detto una cazzata. Ma la sofferenza di quell’uomo non poteva lasciarlo indifferente.

Sentiva di essere di fronte ad una tragedia, che bastasse allungare una mano per strappare un naufrago al suo destino, ma sentiva anche che il gorgo era troppo forte, che ci sarebbe voluto qualcosa di straordinario.

La sua sofferenza – riprese come ispirato – la sua sofferenza è la misura del suo grande amore per quella donna. Forse può sembrarle difficile crederlo, ma è questo il miracolo. Lei non ha bisogno di maghi. Io sono certo che ce la farà – poi aggiunse, come per correggersi – ce la farete.

Quelle parole gli scivolarono addosso come un temporale d’estate: e s’asciugarono subito. Ma quando scese dal treno, un’aria fresca come una buona notizia gli carezzò la faccia.

C’era profumo d’asfalto bagnato e di fiori notturni. I suoi polmoni si riempirono d’aria come volesse farne una scorta. Alzò lo sguardo a cercare un appiglio ed una stella cadente si tuffò dietro l’orizzonte. Con tutte le sue forze legò a quella scia l’esile filo di un’ultima speranza. E tornò a casa.

Stefano Ricci

Nato a Siena nel 1950 è approdato nel '68 a Trento, dove si è laureato in Sociologia. Quella stagione di “contestazione globale” ha caratterizzato l'intera sua esistenza. Sempre impegnato in politica, nel Sindacato e nel volontariato si è poi ritrovato a misurarsi col mondo della salute mentale, anche qui da protagonista.

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