28 Aprile 2024
Recensioni

Pietro Pellegrini – Primario

E’ un piacere presentare qui a Vigheffio, un luogo mitico per la psichiatria italiana, il libro “Psichiatria da protagonisti” di Paolo Giovanazzi e Andrea Puercher, e farlo con la Fondazione “Mario Tommasini” che ringrazio per avere organizzato questa iniziativa. Dall’esperienza di utenti e familiari un servizio di salute mentale ideale recita il sottotitolo. Si fa riferimento all’esperienza di Trento con cui il Dipartimento di Parma  negli anni ha sviluppato una proficua collaborazione.

Viene subito da chiedersi: protagonisti della psichiatria o della salute mentale? O di entrambe seguendo l’insegnamento di Mario Tommasini secondo il quale tutti, ma proprio tutti, possono fare qualcosa per l’altro, per la salute mentale propria e dell’altro e costruire insieme servizi “antisitituzionali” basati sull’emancipazione e l’inclusione. 

Una visione che affonda le radici nella Costituzione, nella cultura dei diritti inverata da un sistema di welfare pubblico universale sostenuto, ciascuno secondo le proprie possibilità, dalla fiscalità generale. I diritti sono assicurati dallo Stato ma devono essere sostenuti da ciascuno nella reciprocità.

Una premessa essenziale troppo spesso dimenticata, quella della rilevanza dell’apporto di tutti e non solo di una parte, per assicurare adeguate risorse al sistema di welfare. Ne consegue che la costruzione, la prevenzione e la cura della salute mentale è un compito di tutte le persone e famiglie, dei professionisti, medici, pediatri, assistenti sociali ma anche di chi opera nella scuola, nei luoghi di lavoro, nelle carceri o nei servizi per anziani e migranti, nella vita sociale.

Il libro indica, secondo i più avanzati documenti internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e delle Nazioni Unite, i principi ai quali ispirare le attività sanitarie e più in generale la tutela della salute, di cui è parte essenziale e qualificante, quella mentale: “non c’è salute senza salute mentale.” E come ha evidenziato il Covid 19 senza salute è a rischio la vita sociale, relazionale ed economica. Quindi la salute è un fondamentale investimento, un diritto ed un bene comune nella misura in cui, al contempo, è individuale e relazionale.

La persona nella comunità è protagonista e nella libertà si autodetermina (“nulla su di me senza di me”) ed è la prima essenziale risorsa per la salute e il benessere sociale. Sta in questo il valore di una società inclusiva, della “scuola di tutti per tutti” contro ogni scuola speciale e differenziale, del lavoro per tutti ciascuno secondo le proprie possibilità e inclinazioni, della rilevanza della cultura e dell’arte, a tutti i livelli, come espressione e donazione di senso.

La malattia come parte della salute che mai sostituisce la persona che è sempre molto di più e di diverso. Una concezione che porta a comprendere le differenze tra la guarigione clinica e sociale e la recovery. Per questo si parla di Servizi di salute mentale di comunità orientati alla recovery.

Per la psichiatria e per la salute mentale è importante la partecipazione di utenti e familiari (ma anche dei cittadini) che non sia mera consultazione o audizione, ma preveda coinvolgimento in tutti i processi (dalla prevenzione agli esiti) e la definizione di ambiti precisi di responsabilità, di decisione e di potere. Un concetto molto attuale vista la crisi della partecipazione nel nostro Paese, che nello specifico di Trento si è declinato in forme di rete di Esperti per Esperienza, Osservatori del malessere, Associazioni “Il Cerchio Fare Assieme Onlus” che di fatto è anche un’impresa sociale.

Prevenzione, cura e riabilitazione, lotta allo stigma, informazione, capacità di accoglienza, cura, “no restraint”, gentilezza, creatività, rete sociale, contrasto alla solitudine e all’abbandono vengono esplicitati a partire sempre dalle esperienze di utenti e familiari ben documentate nel libro. Punti di vista diversi anche fra di loro e che incontrano quelli dei professionisti ma anche quelli a volte impliciti delle comunità dove persistono convinzioni sul malato mentale come pericoloso a sé e agli altri, irresponsabile, imprevedibile, improduttivo, inguaribile e quindi da segregare o emarginare.

Un tema che di fronte a reati si riaccende mettendo in discussione leggi, organizzazioni dei servizi prima ancora di avere verificato non solo i dati statistici ma anche la dinamica dei fatti e le responsabilità. Purtroppo la capacità dialogica di comporre i conflitti nelle diversità viene sostituita da pregiudizio e affermazioni apodittiche e talora violente e di odio o razziste magari rilanciate nell’anonimato sui social network. Vi sono evidenti rischi di frammentazione, di neoistituzionalizzazione delle diversità, degli anziani, disabili e “devianti” e “disturbanti”. 

Non un libro contro ma “per” nel quale avverto il bisogno di andare oltre il Dipartimenti di Salute mentale e lavorare per una società cooperativa in grado di esprimere un welfare di comunità, capace di accogliere in modo non giudicante (né giustificante) di ascoltare e di comprendere per essere di aiuto, essere solidale, capace di educare, curare e prendersi cura dei bisogni della persona nella propria casa, secondo il Chronic Care Model.

I bisogni sono quelli di essere riconosciuti come persona (di avere un’identità, un documento di riconoscimento, una residenza), bisogni di base come un pasto e un tetto, il minimo vitale, e bisogni educativi, culturali, formativi, lavorativi, alloggiativi, culturali, spirituali, sociali e sanitari e psichiatrici. Le risposte devono essere contestuali ai bisogni, affermando diritti e quindi risposte esigibili e non mere opportunità.

Sarebbe utile una riflessione sulla “sindemia” cioè sull’insieme di crisi sanitaria, sociale, economica, clima e della pace e contemporaneamente sulla rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo e sta cambiando la vita e funzionamento mentale e le relazioni

Nessuno deve abitare in psichiatria, ma tutti devono essere parte della comunità e in essa trovare senso e realizzazione, evitando la psichiatrizzazione del disagio e del conflitto o richieste chiaramente repressive a tutela dell’ordine o decoro pubblico.

L’attenzione alla prevenzione indica che la salute va costruita a partire dalla gravidanza (percorso nascita), mediante un insieme di relazioni in grado di promuovere sicurezza, capacità di autoregolazione, abilità (percorso crescita, primi 1000 giorni).

La salute mentale è frutto di una molteplicità di fattori, biologici, psicologici, sociali, culturale e ambientali. Implica la presenza dell’altra persona nella reciprocità. La cura richiede il consenso, la partecipazione, la motivazione, la capacità di costruire fiducia e speranza.

Alimentare il futuro e sapere che vi sono sofferenze evitabili e quelle non evitabili, come le malattie e la morte. Ed è il confronto con questi aspetti, con il mondo interiore che rende importante, difficile, faticosa e meravigliosa la relazione.  Le relazioni che nei servizi assumono qualità e intensità diverse a seconda che avvengano con lo psichiatra, il familiare, l’ESP, un altro utente, un amico o un conoscente. L’incontro tra queste connessioni, crea vissuti unici, di profondità diverse e implicazioni non prevedibili, talora trasformative, a partire magari da apparenti dettagli. Riconoscere il valore unico dell’aiuto degli ESP e la loro inclusione nei servizi è un passaggio normativamente e culturalmente non facile, ma decisivo per migliorare la qualità e ridurre il dissenso/rifiuto.

La psichiatria si fa prossima al dissenso, cerca di incontrare persone che rifiutano ogni contatto, nelle quali la sofferenza può essere espressa nelle azioni, nei tentativi di farcela da soli, di automedicarsi con sostanze o con stili di vita ritirati, eremitici o in internet, o di andare avanti nell’assenza di consapevolezza. Una sofferenza che sfugge all’aiuto, non diventa bisogno e parola ma spesso invade la famiglia, in modo sordo e angoscioso, in pesanti isolamenti che diventano fortezze. Quando si arriva faticosamente all’incontro, all’aggancio (talora purtroppo solo con il TSO) vi può essere la svolta ma avvicinarsi ai servizi da parte della persona può dare vissuti di vergogna, fallimento che il libro ben rappresenta. Per questo è importante prevenire e arrivare prima e in prossimità, magari a domicilio secondo il “dialogo aperto”.

Tuttavia non si tratta di uno specifico delle persone con disturbi mentali che privi di consapevolezza rifiutano le cure. Basta guardare il livello di adesione agli screening oncologici, alle vaccinazioni, al grado di aderenza nelle terapie di malattie croniche come diabete, ipertensione e broncopneumopatia cronico ostruttiva. Per non parlare dell’uso di alcool e tabacco nonostante le chiarissime evidenze sulle conseguenze sulla salute.

La cura, i farmaci, l’uscire da un episodio psicotico o maniacale, richiede un’abilitazione psicosociale per poter riprendere il cammino e riabitare il mondo. Questo non avviene solo per i disturbi mentali ma anche, ad esempio, per quelli cardiologici o oncologici. Infatti i rapporti tra disturbo (disease), vissuto (illness) e ruolo di malato (sickness) e stigma sono profondamente cambiati. Non è più come in passato che la diagnosi portava alla prognosi (infausta) e alla perdita di tutti i ruoli e compiti sociali. Il disturbo è parte della salute e della vita, viene gestito e reso compatibile con la permanenza a domicilio e le attività di vita, lavoro compreso.

La persona non è utente, beneficiario o paziente ma è cittadino con diritti (anche nuovi come quello alla speranza e all’oblio) e doveri. Purtroppo occorre constatare come vi siano discriminazioni basati su genere, provenienze e manchino leggi sul fine vita, ius soli o culturae ed altre che ridurrebbero il “minority stress” e migliorerebbero la vita sociale. 

Infine un cenno al servizio utopico. Nel libro vi sono tante proposte interessanti e condivisibili. Va ricordato che i servizi sono espressione di una molteplicità di politiche a livelli diversi, tanto che l’OMS delinea Servizi di salute mentale diversi a seconda che i Paesi siano ad alto, medio o basso reddito. Non solo ma l’organizzazione dei servizi risente delle politiche regionali e quindi in Italia abbiamo dipartimenti di salute mentale differenti, con o senza neuropsichiatria infantile, i servizi per le dipendenze o la psicologia clinica o servizi per le disabilità. Anche l’ultima normativa nazionale, quella sulle REMS, ha visto il crearsi di almeno 5 tipologie (dalla REMS “diffusa” del Friuli, al sistema di REMS di Castiglione delle Stiviere, passando per REMS con 10 posti, altre con 20, REMS più o meno aperte/chiuse, REMS con impianto valutativo e/o riabilitativo). Nella stessa Regione ove hanno la stessa composizione sono comunque diversi. La psichiatria risente ed è connessa alla comunità.  Per quanto siano importanti norme nazionali di riferimento di cui si auspica l’approvazione e per quanto vi siano esperienze importanti, come quella di Trento ma ricordo anche Trieste, credo sia utile ricordare che la creazione di un welfare di comunità richiede sempre un grado di adattamento locale. Diverso è un servizio in una zona con degrado, disoccupazione diffusa, illegalità o di zone montane isolate, o in un’area metropolitana….

Basaglia non ha delineato un modello di servizi, ma organizzazioni dinamiche fondate sulle pratiche in grado di affrontare sempre nuove contraddizioni via via che avanzano i percorsi di emancipazione, di acquisizione dei diritti e di cambiamento anche istituzionale. L’istanza di cura e quella mai sopita di controllo e persino custodia, vanno composte nell’ambito di un patto sociale condiviso e nella collaborazione interistituzionale, ciascuno per le proprie competenze, al fine di creare salute, benessere e sicurezza di/nella comunità. Ne derivano tanti modelli di servizi che in comune possono e devono avere quanto indicato nel libro per il quale rinnovo i complimenti agli autori.

Pietro Pellegrini – Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Ausl di Parma

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