Storytelling

Ho un ricordo ancora nitido della riunione del Cerchio LAB, un laboratorio di idee promosso dall’Associazione Il Cerchio Fareassieme Onlus, nella quale l’ex Primario del Servizio di salute mentale di Trento, Renzo De Stefani, aveva lanciato quell’idea allo stesso tempo semplice e geniale:

Chiedere a un folto gruppo di utenti e familiari del Servizio di salute mentale di progettare un loro Servizio ideale“.

Devo ammettere che mi era subito piaciuta come proposta, vuoi anche per i miei trascorsi nel mondo della qualità aziendale: il rivolgersi ai “clienti” per ridisegnare un Servizio che fosse orientato ai loro bisogni ed alle loro aspettative costituiva indubbiamente una novità nel settore dei servizi sanitari.

Forse mi lasciai sfuggire l’entusiasmo o forse si era già pensato a me, fatto sta che fui indicato all’unanimità per portare a compimento la missione.

La mia prima mossa fu quella di chiedere la collaborazione di Andrea, un amico (avevamo già lavorato insieme al CSM nel Gruppo di Progettazione Partecipata) e un grande conoscitore della materia, oltre che oratore impeccabile.

Ero certo che ci saremmo completati a vicenda, a partire dalla conduzione dei gruppi di lavoro sino alla stesura dei contenuti della pubblicazione che avrebbe rappresentato l’obiettivo finale del progetto, che sin dall’inizio aveva preso il nome di:

IL SERVIZIO IDEALE

La prima cosa cui pensare era stato il criterio con il quale formare i focus groups che avrebbero sostenuto l’intera impalcatura del progetto. Per ragioni di spazio (e di normativa Covid) non potevamo superare le 15 persone per gruppo, quindi decidemmo di costituirne due che si sarebbero alternati ogni lunedì mattina nella sede del Cerchio: il Gruppo A ed il Gruppo B.

Si era pescato, grazie all’aiuto dell’area fareassieme del Servizio di Trento, tra utenti e familiari personalmente coinvolti nella salute mentale che avessero collezionato vissuti differenti (per durata, patologia, percorso di cura) maturati nelle varie articolazioni del Servizio.

Trovarne una trentina disposti a mettersi in gioco non era stato per niente facile; nel frattempo, oltre a costruire la scatola per le indicazioni anonime (in figura), nel mese di settembre 2021 io e Andrea avevamo cominciato a condurre una serie di interviste, così da avere già del materiale sul quale far lavorare successivamente i gruppi.

In ottobre eravamo pronti, da parte mia ricordo un pizzico di emozione, un po’ perchè non conoscevo quasi nessuno dei partecipanti, un po’ perchè mi sentivo investito di una certa responsabilità: dovevamo arrivare sino in fondo, ad un testo condiviso, il Cerchio aveva scommesso su di noi, non potevamo fallire.

I primi due incontri A/B filarono via lisci, in programma c’era la presentazione di ogni componente, il racconto della propria storia personale, un brainstorming su cosa si intendeva per Servizio ideale.

I problemi cominciarono dagli incontri successivi.

C’era chi metteva in dubbio che dovessimo essere io e Andrea a condurre il progetto ed a facilitare i gruppi, perchè indicati al di fuori di questi.

C’era chi riteneva si dovesse parlare soltanto di un Servizio ideale utopistico totalmente disancorato da quello di Trento, all’interno del quale avevamo tutti maturato le nostre esperienze.

C’era infine chi riteneva totalmente inutile la propria presenza perchè niente comunque sarebbe cambiato nel sistema.

Non fu per nulla facile appianare le divergenze, nel farlo avevamo anche dovuto operare delle scelte democratiche, perdendo qualcuno per strada, ma poi dopo Natale tutto aveva ripreso a filare via liscio, soltanto allora capii che il risultato sarebbe stato alla nostra portata.

Un progetto di scrittura collettiva comportava un lavoro enorme.

Mentre Andrea facilitava i gruppi integrando i singoli interventi ed approfondendo le tematiche più interessanti, io nell’angolo della sala dovevo appuntarmi tutto quanto ritenevo utile fosse presente nel testo finale, classificandolo con data, gruppo A/B, nome della persona, contenuto dell’intervento per poi successivamente processarlo ed inserirlo al posto giusto in un discorso che doveva risultare coerente, interessante e possibilmente anche originale.

Fu importante anche il fenomeno del rimpallo tra gruppi, dato che non siamo mai stati tutti insieme. Gli argomenti che uscivano nel gruppo A passavano il lunedì successivo nel gruppo B e viceversa.

In primavera già potevamo intravedere la struttura portante della pubblicazione che ne sarebbe uscita, che da una bozza iniziale aveva subito nei mesi numerosi rimaneggiamenti e miglioramenti derivanti dal fatto di lavorare collegando più teste pensanti.

Tra queste avevo stretto una collaborazione più proficua con 4 membri dei gruppi che si erano particolarmente appassionati alla missione: Stefano, che mi è stato sempre vicino nella stesura e revisione dei testi, Laura che mi ha offerto la sua preziosa opera di consulenza, Antonio che si è prodigato per ottimizzare i contenuti e infine Alice che, appassionata di grafica, aveva proposto una serie di illustrazioni da inserire nelle pagine.

A fine aprile 2022, dopo molte notti insonni, il testo di massima era pronto. Nei mesi avevo fatto circolare varie bozze riassuntive degli argomenti che avevamo valutato dovessero comparire, ma avevo ritenuto essenziale che il mese di maggio fosse dedicato ad una rilettura generale di tutto il lavoro da parte dei partecipanti ai focus groups, perché potessero apportare le loro modifiche, integrazioni e quant’altro.

Là dentro erano mischiati più di 300 interventi/testimonianze appuntate nei 9 mesi di lavoro.

In giugno partii per il mare con la mia famiglia totalmente sollevato, ero convinto d’avercela ormai fatta.

La pubblicazione si poteva fare…

Ma in luglio cominciai ad essere assalito dai dubbi. Del resto finora l’avevamo letta soltanto noi, e se ad altri non fosse piaciuta? Se l’avessimo scritta soltanto per noi e non per il lettore?

E poi… saremmo riusciti ad averla resa interessante sia ai fruitori dei Servizi che ai professionisti che vi lavoravano che infine al singolo cittadino?

Complice anche il clima torrido mi sentivo terribilmente assetato di conferme.

Il testo finale del lavoro si sviluppava in un continuo rimpallo tra voce narrante ed esperienza personale che ne rinforzava i concetti, secondo me costituiva un buon sistema per offrire al lettore una visione della malattia mentale da dentro, ma se non fosse stato così? Se questo modello stilistico non si fosse capito?

Cominciai a farlo leggere al di fuori della nostra ristretta cerchia.

Il primo responso non fu trionfale. Il figlio di Stefano sosteneva che citassimo troppo spesso la parola “Servizio” (in effetti credo che appaia in un centinaio di occasioni). Poi lo facemmo leggere al Direttivo del Cerchio, una sorta di consegna del compito che ci era stato assegnato.

Giovanni fu l’unico ad entusiasmarsi, fece subito un’ottima recensione che in quanto operatore del Servizio fu per me molto importante, un’iniezione di fiducia.

Poi ricordo che lo lasciai sulla scrivania del Primario del Servizio di salute mentale di Trento che se lo portò in vacanza: fece seguito un’altra apprezzatissima recensione con puntuali commenti punto per punto.

Quindi fu la volta dell’approdo alla Casa Editrice Erickson, la responsabile della redazione ne lodò l’originalità dei contenuti e lo propose immediatamente per la pubblicazione e anche per un futuro inserimento in catalogo.

E fu a questo punto, quando stavo considerando le cose ormai già fatte, immaginandomi la strada completamente spianata, che sorsero problematiche da risolvere del tutto inaspettate.

Un libro deve avere un titolo ed una copertina.

Eh già… Non potevamo proprio intitolarlo Il Servizio Ideale. E poi… che immagine scegliere?

Fossi stato da solo forse sarebbe stato più facile venirne fuori, ma probabilmente il risultato finale non sarebbe stato lo stesso.

L’unica cosa sulla quale le persone che avevo consultato si erano trovate d’accordo era stato il colore: azzurro cielo.

Per tutto il resto c’era chi parteggiava per “Niente che riguardi noi senza di noi” e chi non voleva sembrare rivendicativo ed abbracciava invece un più inclusivo “La nostra salute mentale”. E poi anche la Casa editrice voleva dire la sua…

Un caro amico mi suggerì di includere la parola “Psichiatria” nel titolo ed avendo già l’idea di collegare al libro un sito web propesi per quella soluzione, perché sarebbe stata anche più googlabile.

La seconda parola chiave arrivò in fretta: “Protagonisti“: sia del proprio percorso di cura, che all’interno del libro.

Il sottotitolo aveva comportato un minor sforzo, avrebbe dovuto accennare al sapere esperienziale e raccordarsi con l’idea iniziale alla base del progetto, per cui fu abbastanza semplice convergere su: “dall’esperienza di utenti e familiari un Servizio di salute mentale ideale”.

L’intuizione per l’immagine di copertina mi era venuta una sera vedendo giocare mio figlio proprio con quei tasselli di legno… aggiungiamoci una mano dell’utente ed una del familiare ed il gioco di costruzione di un Servizio ideale era fatto.

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