Storytelling (2)

Il libro è uscito il 28 ottobre 2022, a poco più di un anno dalla presentazione del progetto.

Durante quell’evento ricordo bene di essermi soffermato sulla motivazione che mi spingeva ad intraprendere quel percorso. Volevo dare un senso a tutta la sofferenza degli ultimi 30 anni vissuta insieme a mio fratello malato di schizofrenia, alla perenne ricerca di un equilibrio accettabile tra il sopportare la malattia mentale e il supportare Nicola…

Ma ora che il libro era stato pubblicato avevo trovato anche un’altra spinta motivazionale, forse ancora più forte.

Non avevo mai riconosciuto un’utilità sociale al mio impegno professionale se non quella di dare liquidità ai mercati finanziari, che a pensarci bene è orribile… Avevo sempre invidiato molto chi si spendeva per delle buone cause, per aiutare nel concreto le persone, per farle stare meglio.

E solo adesso mi rendevo conto che mi era stata data l’occasione di poterlo fare anch’io.

Quel libro sul comodino, sentivo che avrebbe potuto aiutare tanti altri utenti e familiari ancora all’inizio del loro percorso. Quel libro era intriso del sapere esperienziale di tutti coloro che avevano partecipato ai gruppi di lavoro. Avrebbe davvero potuto diventare un fedele compagno di viaggio per chiunque si fosse trovato a doversi misurare nella propria vita con il disagio psichico.

Per una volta, anziché acquistare quote azionarie di società quotate, potevo comprare un prodotto da poter toccare con mano, sfogliare, leggere, far conoscere. Decisi così di fare un investimento importante perché io per primo ci credevo. Mi sentivo soddisfatto: probabilmente non dovrei essere io a dirlo ma ne era uscito proprio un buon libro. L’avevo capito quando, appena avutolo tra le mani, mi ero messo a leggerlo, come fosse la prima volta. Ed in un certo senso era proprio così, la sensazione provata era stata molto diversa dallo scorrere quelle bozze su fogli A4 che mi avevano accompagnato durante i mesi della sua stesura.

Un libro conferisce un’autorevolezza ai contenuti delle sue pagine che la tua stampante laser si sogna…

Soprattutto ero contento del fatto che risultasse scorrevole: volendo lo si poteva leggere tutto di filato.

Insomma, avevo finalmente trovato un obiettivo cui spendermi al 100%, cosa che avevo iniziato a fare su ogni canale e ad ogni ora: volevo comunicare con chiunque avesse incontrato nella propria famiglia la malattia mentale, perché non si sentisse più solo.


Io sono tra quelli che vivono accanto… i cosiddetti caregiver.

La malattia mentale non riguarda solo il malato, ma si riversa prepotentemente su tutta la sua famiglia, condizionandola pesantemente. Spesso è trattata con linguaggio medico dagli psichiatri e può accadere che i Servizi di salute mentale (doverosamente rivolti alla cura dei pazienti) sottovalutino quanto la quotidianità possa essere dolorosa anche per i familiari e gli amici più stretti.


Talvolta non si riconosce a sufficienza quanto i membri della famiglia si rivelino fondamentali nel recupero, nella riabilitazione e nella vita complessiva dei pazienti psichiatrici. I medicinali sono essenziali per controllare i sintomi, ma il sostegno e la comprensione della famiglia è altrettanto necessario ed assolutamente insostituibile.

Insomma, la cura della malattia mentale non è affatto un affare per soli psichiatri…


Il ruolo chiave che assume quindi il familiare nel processo di recupero del malato psichico può però essere interpretato davvero soltanto al termine di un percorso di maturazione personale che si snoda su 5 fasi, che possono anche durare anni…

Le sintetizzo utilizzando 5 verbi all’infinito:

All’inizio si soffre immensamente, in preda all’impotenza, all’isolamento ed ai sensi di colpa poi, se ci riesce, si accetta di doversi misurare per tutta la vita con la malattia mentale in famiglia. Quindi si cerca di conoscerla meglio, di studiare la diagnosi per capire e poter trovare le strategie e le buone prassi più adatte per provare a conviverci. Da ultimo si è pronti per trasferire il bagaglio esperienziale accumulato ad altri familiari che si trovano all’inizio del loro percorso “evolutivo”, partecipando attivamente dentro il Servizio di salute mentale.

Ecco, tutto questo per dire che far leggere il libro anche al di fuori del Servizio, magari su scala nazionale, avrebbe costituito addirittura una sesta fase.

Era tutta una questione di marketing adesso…

Dovevo creare un team.

Ovviamente il mio primo insostituibile compagno di viaggio non poteva che essere Andrea, con il quale avevo condiviso l’intero progetto. Lui, Presidente delle Parole Ritrovate trentine, era molto più addentro di me in quanto a contatti nel mondo della psichiatria, avremmo fatto anche coppia fissa alle presentazioni del libro. Poi avevo pensato ad Alice, l’illustratrice, che essendo impiegata come ESP al Centro di salute mentale e trovandosi quotidianamente a contatto con utenti, familiari, medici e operatori, ne avrebbe potuto testare le reazioni post lettura oltre che incentivare le recensioni.

Avevamo imbarcato anche Cecilia per avere un confronto diretto con l’editore Erickson e due partecipanti ai focus groups: Stefano (grande appassionato di scrittura) al quale avevo affidato la gestione degli articoli che venivano pubblicati sul sito e Giovanni, che si era rivelato un grande conoscitore del mondo dei social media ed un ottimo “agente di vendita”.

Quello che mi accorgevo stava facendo la differenza nel nostro dreamteam era stato creare un gruppo su Whatsapp per far circolare tra noi le informazioni in tempo reale: qualsiasi cosa ognuno avesse fatto in relazione al libro (azioni, idee, pensieri, impressioni, riscontri) veniva postata. In questo modo la creatività e la velocità d’esecuzione ne avrebbero guadagnato moltissimo.

E così era stato.

Leggi la 3° parte dello Storytelling…