La biblioteca vivente
Dicono che tra un autore e il suo lettore si instauri sempre un dialogo a distanza; certo è che il dialogo che si crea tra un libro vivente, una persona che racconta la sua storia, e il suo lettore, in questo caso uditore, è un dialogo molto più intenso.
Dialogo fatto di sguardi, di complicità, a volte di paura e ritrosia, ma è comunque uno scambio così forte che si può affermare che nessun “libro vivente” sarà mai uguale a sé stesso.
Ho partecipato alla Biblioteca Vivente del Servizio di Salute Mentale di Trento in due diverse edizioni, sempre in occasione della giornata mondiale della salute mentale.
L’anno scorso dopo un’esperienza molto emozionante con una giovane lettrice scrivevo:
“C’è questa ragazzina di 15 anni, gli occhi azzurri e un caschetto nero. È venuta ad ascoltare le storie degli utenti dei Servizi di salute mentale di Trento e Rovereto nella biblioteca vivente . È con un’amica, sono qui “per caso” perché uscite dalla biblioteca, quella vera, hanno scoperto questa iniziativa.
La ragazza col caschetto nero dice all’altra, dai fermiamoci, e l’altra, che non sarebbe minimamente interessata forse, capisce che è importante per la sua amica farlo. Lo capisce come solo l’amicizia tra due adolescenti può fare, senza bisogno di parole, anche se le due si conoscono da poco, due mesi appena. Ma amicizia osa dove altri si arrestano, anche l’amore io credo.
Scelgono di partire dallo scolapasta, una delle 4 metafore con cui propongo di raccontarmi, facendo scegliere ai miei lettori.
Io lo vedo subito, appena incrocio il suo sguardo, che le nostre anime parlano la stessa lingua. C’è un momento, non so più quando, che lei mi guarda sotto la frangetta nera e mi dice: “l’anno scorso ho tentato il suicidio, ora sono in cura da uno psichiatra e una psicologa”.
Respiro. Vorrei abbracciarla ma tutto l’apparato Anti Covid me lo impedisce. Così cerco di far sorridere gli occhi, occhi azzurri che incontrano occhi azzurri, anche la nostra superficie ha qualcosa di simile. Provo a dirle quanto sia importante che lei, proprio lei, sia qui oggi ad ascoltarmi, provo a dirle quanto è giovane e quanta strada potrà fare felice, se inizia ora ad abbracciare il suo male. Respira.
È lì che non mi accorgo dell’amica, finché distrattamente le chiedo: “vuoi fare qualche domanda”? “Nessuna domanda, ho scoperto ora quello che è successo a lei, avevo intuito ci fosse qualcosa che non andava… ma ora lo so, sono un po’ scioccata ma ora so di poterla comprendere meglio”, dice.
Ah l’amicizia, ah il caso, ah gli incontri che neanche se li preparassi a tavolino sarebbero così perfetti.
Amica giovane coi capelli a caschetto, ignoro il tuo nome ma ti porterò con me, in te ho rivisto me e mi hai permesso un passo in più verso la me che sono stata. Grazie. A te, auguro una vita piena e di avere sempre con te il dono dell’amicizia, che sa ascoltare senza prendersi paura.”
Quest’anno mi sono trovata a confrontarmi con ragazzi molto giovani, delle seconde classi delle superiori. Confesso che all’inizio ho avuto paura: come modulare il mio linguaggio, come edulcorare eventi che potevano essere troppo forti per dei giovanissimi come loro?
Si è rivelata una paura superflua, perché in fondo quello che si crea nella biblioteca vivente è semplicemente un incontro tra due umani uniti da curiosità: la curiosità di ascoltare da una parte, quella di incontrare il proprio lettore dall’altra. È accaduto quest’anno che due ragazze abbiano lasciato nel loro commento un riferimento al fatto di essersi ritrovate, riconosciute nella mia storia: questo credo sia prezioso. Il riconoscimento, a qualsiasi livello avvenga, è da un lato sollievo perché ci fa sentire meno soli, dall’altro motore di cambiamento.
Credo che la bellezza di questa esperienza stia proprio qui: nella capacità di lasciarsi sorprendere e trovarsi più simili gli uni agli altri di quanto si potrebbe pensare. E poi c’è, per noi libri, il grande dono della restituzione: questa parola, coraggiosa, che già l’anno scorso mi era stata associata e che è tornata a bussare anche quest’anno, che mi dice qualcosa di me che io non so, ma che custodisco ora come un tesoro prezioso.
E mi capita, nei momenti di disperazione, di perdita di prospettiva, di arrendevolezza, di sentirla risuonare in me con voci che non ricordo ma con sguardi che non ho dimenticato: sei una donna coraggiosa, Camilla, mi dico. E vado avanti.