24 Aprile 2024
Racconti

La luce lunga

La luce lunga di quest’anno è arrivata di domenica che io non lo sapevo; alle 18.30, pioggerellina, una cosa irrisoria dopo 2 mesi di siccità, io che mi chiedo, letteralmente, ma perché non spegnete il giorno? Lì ho capito che avevo cannato l’ora legale.

L’ora legale è bella, bellissima, se penso all’ora legale ricordo la luce di Bologna, rossa come sa esserlo solo in quella città quando si riflette sui muri delle case ed entra senza bussare. Io, sei anni, sul letto di mia madre che faccio le ombre sul muro e penso che la scuola sta per finire e l’estate per arrivare e il futuro è incandescente come quella luce lì.

Ma la luce lunga è anche truce e spietata, la luce lunga della mia adultità sono giorni che ti impongono gaiezza anche quando gaiezza non hai.

La luce lunga è più tempo a disposizione, che non sempre crescendo è tempo di gioire. Per me gli anni duri, i più duri, l’arrivo della luce lunga era la mannaia che colpiva in testa, l’aspettativa sociale di un fiorire primaverile che io vedevo, e amavo, ma che dentro mi faceva morire. Perché quando tutto è tanto, se tu non sei all’altezza di quel tanto, di quel fulgore, e di quel colore, e di quei profumi, e dei ragazzi sui prati, non resta che rimpicciolire.

Oggi sono a un guado: non si aprono abissi primaverili, ma ricordo bene, lo sento ancora qui, al centro del petto, quel senso di vergogna di non riuscire a fare la festa alla luce che ritorna.

Oggi qui, saluto le giornate lunghe con gioia e un po’ di paura, cercando di spiegare a chi non sa, cosa vuol dire mal di primavera.

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