24 Aprile 2024
Racconti

Riflesso

C’erano voluti quattro agenti per fermare la sua furia distruttiva. Adesso, dopo una buona dose di sedativo, quel vecchio pazzo stava cercando di raccontare, un po’ confuso, cosa gli fosse accaduto:

Me la sono trovata davanti all’improvviso, dottore. In una vetrina. Era da parecchio tempo che l’avevo persa di vista e mi ha sorpreso. Quasi impaurito! Una volta, molti anni fa, ci incontravamo spesso: praticamente tutti i giorni. E non posso nascondervi che era per me un piacere incrociare quello sguardo gioioso, colmo di speranza. Quel viso fresco, quasi sempre illuminato dal sorriso!

Bastava uno sguardomi deve credere dottore un impercettibile segno di saluto e la giornata mi si spalancava davanti con i migliori auspici. Avremo scambiato si e no qualche parola, ma era sufficiente un ammiccamento degli occhi, un tentennamento del capo quasi in segno di complicità, per capire che eravamo d’accordo, in sintonia su tutto… e non c’era nient’altro da dire.

Una piacevole visione

Un’immagine leggera, elegante, come fosse sospesa a qualche centimetro da terra.

I capelli lunghi, spesso raccolti in una coda, a volte erano lasciati sciolti al vento quando la loro docilità al pettine risultava più problematica. Allora facevano una corona vaporosa, quasi un’aureola che concedeva a tutta la figura un che di ascetico… mi creda dottore, era una visione.

Più raramente, una barbetta incolta le incorniciava il volto senza invecchiarla, ma conferendole un’aria più seria da intellettuale. Forse un poeta… ma non è pur vero, dottore, che in ognuno di noi si nasconde un artista? Posso ben dire che conoscevo tutto di quell’essere.

D’altronde quegli occhi chiari e trasparenti erano lo specchio fin troppo sincero d’un’anima semplice e dai sogni ambiziosi. Erano un libro aperto quegli occhi! Ci potevi leggere l’amore sconfinato per una donna della quale addirittura, con un po’ di attenzione, potevi scorgervi il profilo. Ci potevi indovinare il futuro senza essere un veggente.

L’oblio

In quegli occhi c’era il mare e distese infinite di prati con bambini a inseguire un pallone. C’erano persone compiaciute di stare ad ascoltare le sue parole, orgogliose di esserne amiche…

Ma quanto tempo è passato da allora, dottore! La persi di vista, così, distrattamente; quasi senza accorgermene, senza neppure domandarmi che fine avesse fatto. Preso dal vortice della vita, dal rincorrersi implacabile degli eventi, l’ho dimenticata, non c’ho più pensato. Cancellata. Morta e sepolta.

La rivelazione

Finché oggi, all’improvviso, ne incrocio di nuovo lo sguardo, ma senza più quella luce! Mi deve credere dottore: una stretta al cuore così, non l’avevo mai provata! Non sono le rughe profonde sulla fronte, né il gonfiore emaciato sotto gli occhi a rendermi l’immagine stanca e pesante. Non sono le macchie del tempo, né i lunghi capelli ormai bianchi, più fini e più radi di come li ricordassi a rendermela spenta e invecchiata. Non è quella figura ingobbita dal passo lento e strascicato a darmi un pugno allo stomaco. No! Sono gli occhi che non riconosco più! Come si fosse spenta all’interno la luce che li alimentava.

In quella figura che all’improvviso mi si para davanti, vedo ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Vedo il vuoto lasciato dai sogni inseguiti e il colore sbiadito d’un amore sprecato. Vedo lo sguardo un po’ miope ed arcigno di chi cerca di mettere a fuoco una realtà che gli sfugge, un mondo che non è il suo, una speranza che non esiste. Vedo uno sguardo torvo, arido, senza il riflesso di un’emozione. Spento, senza il barlume d’un sentimento.

Pareva che la morte mi stesse fissando e ho avuto paura… Che potevo fare, dottore?! E’ stato un impulso, non volevo fare male a nessuno… ma no, che dice? Non volevo rubare nulla: semmai sono io il derubato! Quell’immagine mi ha rubato l’anima. Volevo mandarla in frantumi, spaccare la vetrina che, a tradimento, stava riflettendo di me una caricatura deforme: ho brandito il bastone e ho menato fendenti alla cieca, per scacciare un fantasma. Ma quelle vetrine lì, dottore, lo sa anche lei, sono a prova di sfondamento. Quelle vetrine lì sono infrangibili: non si spezzano, non si spezzano mai!

Stefano Ricci

Nato a Siena nel 1950 è approdato nel '68 a Trento, dove si è laureato in Sociologia. Quella stagione di “contestazione globale” ha caratterizzato l'intera sua esistenza. Sempre impegnato in politica, nel Sindacato e nel volontariato si è poi ritrovato a misurarsi col mondo della salute mentale, anche qui da protagonista.

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