11 Dicembre 2024
Racconti

Il talento

Giù, a piano terra, nel locale del Centro di salute mentale adibito a ristoro (“dolce e caffè” lo chiamano), hanno messo un Offberg verticale, nero e lucido come dio comanda. Quando apri il coperchio, l’anima bianca dei tasti offre allo sguardo tutto il fascino del contrasto cromatico. L’avevo sentito una volta, toccato dalla mano gentile di uno studente di conservatorio che accompagnava con discrezione la recita di rime sparse e inediti racconti di viaggio.

Vanterie

L’altro giorno, seduto al bancone del bar, mentre sorbivo un caffè cremoso, un “utente” (come ci chiamano qui), un piccoletto tarchiato e saltellante, vivace e ciarliero, si vantava con uno sparuto gruppo di stravaganti avventori, della sua bravura nel suonare il piano. Raccontava di un aneddoto che lo vedeva protagonista al concerto di una qualche famosa pianista russa in quel di Bolzano. Durante una pausa delle prove, non si sa bene perché lui si trovasse lì, la concertista l’avrebbe invitato a farle ascoltare i suoi vantati virtuosismi alla tastiera. Per nulla intimidito, avrebbe inanellato un’estemporanea composizione con una tale maestria da lasciare di stucco la celebre artista:

“Ma dove ha imparato a suonare così?” gli avrebbe chiesto la donna, e lui, con una risata, aveva risposto che: “No, non aveva studiato da nessuna parte, che non conosceva le note, che era un semplice autodidatta…”.

L’artigiano

Incuriosito dal suo racconto alquanto fantasioso, lo sfidai a farci sentire qualcosa pure a noi, anche se non eravamo russi. Con fare impacciato, ma per nulla timoroso, si appollaiò sul panchetto di fronte allo strumento e cominciò a lavorarlo d’impulso, dando inizio alla metamorfosi.

Le sue mani tozze e pesanti si misero a danzare leggere sopra i tasti come fossero quelle di un artigiano che plasma un pezzo di legno sul proprio banco da lavoro. Più che cercare sconosciuti accordi, sembrava misurasse a spanne la tastiera per ritrovarvi i giusti riferimenti. Estraniatosi dal resto del mondo, accarezzava la sua opera con rude dolcezza, cavandone fuori una musica travolgente. Con i movimenti del corpo accompagnava il ritmo frenetico e melodioso che riempiva il piccolo locale, si spandeva nelle stanze vicine fino a salire per la tromba delle scale ed invadere i piani superiori. Ben presto il pubblico aumentò e scese anche il primario a indugiare più del dovuto davanti al suo solito macchiato caldo.

Uno scrigno

Passava con disinvoltura da pezzi classici a brani di musica leggera come avevo visto fare da Novecento nel film “Il pianista sull’oceano”. Si era trasformato, era un tutt’uno con la musica: come rapito dalla trance era diventato anch’egli uno strumento nelle mani di Euterpe, indotto dalla Musa a tradurre la musica in emozioni. Una struggente commozione, come una sorgente calda di acqua termale, mi salì dal cuore e dalle viscere fino a rigarmi le guance di lacrime compiacenti.

Al termine di quella incredibile esibizione eravamo tutti impietriti e nessuno riuscì a muovere le mani per applaudire il matto che, senza alcun imbarazzo, saltellò via un po’ goffamente, come un involucro sgangherato. L’improbabile, bizzarro astuccio di un prezioso talento.

Stefano Ricci

Nato a Siena nel 1950 è approdato nel '68 a Trento, dove si è laureato in Sociologia. Quella stagione di “contestazione globale” ha caratterizzato l'intera sua esistenza. Sempre impegnato in politica, nel Sindacato e nel volontariato si è poi ritrovato a misurarsi col mondo della salute mentale, anche qui da protagonista.

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