24 Aprile 2024
Racconti

Non sono la mia malattia

Sono un bipolare. Anzi no, in realtà io sono Francesco. Ma non c’è nulla come la malattia mentale a rubarti, oltre alla salute, pure l’identità. Mario, che soffre di cuore, sarà sempre lui, non diventerà mai solo un cardiopatico, né Luciano soltanto un diabetico. Non c’è nulla come la malattia mentale ad identificarsi con la persona, sostituirla, annientarla. Come un pullover di pregio si chiama: un cachemire. S’identifica col materiale di cui è fatto, così come io divento la mia malattia!

Una volta, neppure tanto tempo fa, mi avrebbero semplicemente chiamato matto (non ho mai capito la differenza tra matto, pazzo, o folle…). Senza tante ipocrite distinzioni mi avrebbero rinchiuso in manicomio e legato ad un letto perché “non mi facessi del male”. In realtà mi avrebbero nascosto al mondo per paura o per vergogna. Allora sì che avrei scordato il mio nome e perfino il motivo che mi tiene in vita.

La cura e la maschera

Oggi invece mi curano e cercano in tutti i modi di aiutarmi a ritrovare l’equilibrio interiore e un posto nella società. Rispettando, s’intende, le regole sociali che affidano ad ognuno un ruolo e lo inquadrano in un proprio profilo che sia riconoscibile ed accettabile da tutti. Ma in questa società, a volerla dire tutta, per le persone fragili o troppo sensibili come me, i posti scarseggiano.

Allora mi aiutano. Ci sono luoghi aperti e accoglienti dove nessuno mi chiede come stai, perché sanno che non è una domanda da fare a chi soffre come un cane. Dove nessuno mi esorta col tirati su, perché sanno che aumenterebbe il mio senso di colpa! Professionisti della mente e operatori gentili mi consigliano farmaci e attività per esercitare il cervello, tenere a bada i pensieri, educare i sentimenti, ritrovare fiducia. O, forse, soltanto per riuscire a mettere una maschera al mondo, camuffarlo per renderlo accettabile e far finta di essere sano!

Gestire la rabbia per le cose storte, le offese o la pietà che ti sputano in faccia. Controllare l’ansia che ti assale quando vuoi rispettare i modelli omologanti di una realtà virtuale. Superare l’infinita stanchezza di vivere una routine che non ha più senso. Zittire le voci che mi richiamano altrove, lontano da qui, lontano da loro… lontano da me stesso!

Gli psicofarmaci e le relazioni

I farmaci agiscono sui neuroni cerebrali per stabilizzare l’umore, evitare i picchi incontrollati dell’euforia e gli abissi profondi della depressione; mettere un filtro a come percepisco la realtà. Ma hanno i loro begli effetti collaterali: da mesi mi tremano le mani e non riesco neppure a prepararmi un caffè, sono intontito e non riesco a concentrarmi, la memoria vacilla e non sono nemmeno in grado di seguire il più stupido programma televisivo (e cambiare canale ogni volta che sparano notizie di guerra o femminicidi!), il mio passo è incerto e l’incedere barcolla. Il litio poi, a lungo andare, crea problemi alla tiroide o al fegato come se fossi un alcolizzato…

Le attività mi tengono occupato e, in qualche modo, sorvegliato senza bisogno dei legacci (almeno finché collaboro). Sono riunioni, gruppi, lavori piacevoli e stimolanti che mi fanno incontrare persone cortesi e disponibili: ci capiamo, abbiamo pazienza reciproca ed empatia… come se fosse tutto vero, come se il mondo fosse quello.

Ma quando le attività finiscono torno in una bolla che mi separa dagli altri, torno in un ambiente estraneo che non mi piace, bombardato da notizie insensate e crudeli, tra gente superficiale, a volte cattiva che spesso urla, parla male di tutti e pensa solo a se stessa.

Un mondo gentile, le api, i cetacei, il cachemire…

Ogni tanto mi viene da chiedermi se non sia il mondo ad aver bisogno di cure. Se chi danza imperturbabile sulla tolda del Titanic non sia più pazzo di me. Se, in definitiva, non sia più “anormale” vivere con leggerezza lo squilibrio ambientale e l’ingiustizia sociale, piuttosto che farsi prendere dalla depressione difronte a tanto scempio e a tanta violenza. Perdere l’orientamento in un mondo che va alla deriva è forse una reazione più umana rispetto all’indifferenza generale.

La disperazione difronte alla guerra ed il senso d’impotenza che ne deriva può condurre a fuggire dalla realtà, ma la follia è dentro la guerra! È forse una malattia dei cetacei quella che li porta a spiaggiarsi sempre più numerosi fuori rotta, o sono l’inquinamento ed il cambiamento climatico a disorientarli? Sono forse le api che decidono di suicidarsi in massa, o sono i nostri pesticidi a rendere la natura un luogo inospitale? Anche Cassandra sembrava matta e i Troiani mal sopportavano il suo umore tetro e le sue funeste previsioni, ma nessuno può negare che avesse ragione!

Allora, io sono un cachemire o sono Francesco? O sono entrambe le cose: una persona fragile, impaurita, sensibile, disperata che per rendere accettabile questa vita ha bisogno di un pizzico di follia… La ragione della mia malattia è dentro di me oppure là fuori? Sono io a percepire la realtà in modo distorto o è il mondo che abbiamo costruito ad essere sbagliato…

Vivo in una dimensione grigia, senza sole e con poche prospettive. A volte do di matto, forse quando non ne posso davvero più o quando il dosaggio delle gocce diventa insufficiente. Il presente non mi appartiene, il futuro mi spaventa. Ma se il mondo fosse un po’ più gentile; se solo le persone provassero tra loro ad essere più gentili… forse non avrei bisogno di tanti farmaci per colorare artificialmente questi miei orizzonti sbiaditi.

Stefano Ricci

Nato a Siena nel 1950 è approdato nel '68 a Trento, dove si è laureato in Sociologia. Quella stagione di “contestazione globale” ha caratterizzato l'intera sua esistenza. Sempre impegnato in politica, nel Sindacato e nel volontariato si è poi ritrovato a misurarsi col mondo della salute mentale, anche qui da protagonista.

Un pensiero su “Non sono la mia malattia

  • Semplicemente meravigliose testimonianze che fanno sentire chi soffre meno solo.

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